26 ott Marino Marini racconta: La cucina italiana in Italia
Marino Marini racconta:
Cucina italiana in Italia.
La cucina più bella del mondo.
Marino Marini risponde agli impulsi di Paolo tirando fuori i suoi assi. I pensieri si integrano, le scuole si fondono. L’amore per la cucina è il mare infinito che lega le terre e che fa salpare in viaggi dove si naviga “a vista” e dove l’esperienza fa andare “a braccio”. Poesia sì, ma anche materia e… corporeità.
“L’Italia è un concentrato di bontà perché è tuffata nel Mediterraneo.”
La cucina italiana forse è la cucina più bella del mondo… e spero e credo sia anche la più buona.
È sicuramente la più bella per varietà… forse in Cina c’è la stessa varietà, ma la Cina è infinitamente più grande dell’Italia.
L’Italia è un concentrato di bontà perché è completamente tuffata nel Mediterraneo, che, anche se adesso il clima sta cambiando… fino a un po’ di anni fa ci ha favoriti in tutto e per tutto. Siamo produttori – mi pare – del 60 / 70% delle cultivar di ulivo. Tutto il mondo è praticamente riassunto da noi. Se togliamo un 20 / 30% che sta in Grecia e Spagna, il resto del mondo ha soltanto una briciola di questa varietà.
“Sì, abbiamo avuto una grande fortuna, ma la fortuna
(se così si può chiamare) è diventata grande grazie alla nostra abilità!”
Una volta c’erano tutti ghiacciai e l’uomo ha saputo coltivare, ha saputo allevare, anche grazie ad altri popoli, specialmente l’allevamento dei suini che viene dai popoli germanici. Da noi il maiale quasi non esisteva, o meglio esisteva, ma era un animale sconosciuto… un cinghialetto che andava scorrazzando di qua e di là… Pensate cosa ne abbiamo fatto noi!
Noi abbiamo avuto questa grande fortuna! Li chiamano barbari gli stranieri, gli invasori, gli usurpatori, ma in realtà senza di loro non ci sarebbero stati i prosciutti, quelli veri intendo, non quelli taroccati fatti con altri animali: maiali frutto di incroci non previsti da nessun disciplinare!
Quando il cuoco cade nell’imbroglio, questo “gorgo perfido” (Paolo Conte) che è la cucina di “alta qualità”, rischia di tagliare un cordone ombelicale, che è giusto che vada tagliato perché tutti i cordoni ombelicali vanno tagliati, ma rischia di staccarsi da quella che era la cucina di tradizione a quella di ristorazione con un pericolo… faccio un esempio:
Se a Livorno, mangio le triglie “alla livornese” per l’appunto: me le portano intere, cotte dentro un sughetto di pomodoro, con l’aglio, lo zenzero e tutte le cose che ci mettono loro, ma non sono sfilettate!
Sono con le loro lische… quindi c’è un problema di pulizia… ok?
Cosa pensa il cuoco che vuole fare il ristorante di alta qualità? Di prepararle sfilettate, per facilitare il cliente… bene, ma sfilettando si perde la lisca, la lisca ha un suo gusto e questo gusto viene tolto!
A parte che se io faccio sei mezze triglie sfilettate, ci metto un coulis di pomodoro ci metto anche l’aglio, per carità, tutte queste cose qui, questo piatto lo posso fare uguale identico anche a Tokyo! Non è più la triglia alla livornese, ma una triglia con pomodoro, aglio, olio e spezie, ma non sarà più la triglia alla livornese e quindi c’è questo stacco / distacco tra le due cose, perché questa è riproponibile in qualsiasi parte del mondo.
“Quella con la lisca, con le cose da succhiare… è livornese.”
Succhiare la cucina italiana, sbrodolarsi di
tradizione, sporcarsi di verità…
Vi faccio un altro esempio analogo: in una trasmissione televisiva, un cuoco italiano si è scandalizzato quando una concorrente ha portato gli spaghetti con le vongole con il guscio… Si è scandalizzato!
Siccome Io conosco quel cuoco, gli ho detto: “Quelle senza guscio sono le vongole dei vasetti, quelle “vere” hanno il guscio, non scandalizzarti! Te lo posso giurare, le ho viste con i miei occhi! Le tue sono mutilate e surgelate…
“Il succhiare…”
È vero che nel ristorante vuoi limitare questo atteggiamento, ma è anche vero che la cosa più buona è quella. La cucina italiana, quella vera, è anche questo gesto. Magari il Galateo lascia un po’ a desiderare… ma la bontà soddisfa il desiderio a scapito dell’etichetta!
“La scarpetta…”
Anche il Galateo si è adattato: se è fatta in modo elegante va bene! Si è aggiornato il Galateo… anche perché oggi c’è molta cultura anti-spreco. Perché lo devo lasciare… io lo voglio tutto, cambiate il Galateo!
Chiavi e cellulare in tavola non si poteva… adesso è sdoganato. Da Uliassi per esempio la cameriera si raccomanda di fare la scarpetta a fine portata… Uliassi dice che se il piatto è buono non si deve lasciare niente.
Io ricordo una sua “arbanella” (barattolo con chiusura ermetica) qui da noi in ALMA: lui ci ha fatto una zuppa di pesce… una per ragazzo, quindi ha fatto 80 vasetti con dentro il pesce con tutti i suoi condimenti. Ha fatto cuocere a bagnomaria tutte queste zuppe, le ha fatte distribuire ai ragazzi dentro l’aula magna – io ero presente – e poi ha detto: “Al mio via, aprite!” perché c’è una molla… al suo via hanno aperto tutti contemporaneamente… da svenire… io che dicevo “la voglio anch’io!”.
La vera cucina Italiana suscita un desiderio irresistibile, passionale, che ti cattura e non ti lascia il tempo di soffermarti troppo sulle buone maniere.
Assaporare quella cosa lì diventa prioritario.