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Capitolo Primo

La Stagionalità

Che argomento complesso! Abbiamo spinto Paolo Amadori alla massima sintesi, lo abbiamo costretto a toccare solo aspetti essenziali, a fare riflessioni e consegnarci suggestioni aneddotiche. Più che fornire risposte esaustive, lo Chef ha saputo (come sempre) generare domande importanti. Ecco il suo flusso di coscienza, di scienza e di esperienza.

Ok! Parto dal presupposto che oggi tutto è accessibile per 365 giorni all’anno, ma stagionalità è un aspetto fondamentale tanto per quel che riguarda la cultura integrale di un popolo, quanto per il nostro settore specifico di trasformazione, preparazione e consumo di cibi.

Già, perché stagionalità significa rispettare e valorizzare l’intero ciclo naturale e biologico di cui per primi facciamo parte.

La vita scorre secondo stagioni, climi, sole, luna, terra e lavoro. Noi veniamo dalla natura e – in maniera evidente o sottile – dai suoi ritmi dipende il nostro benessere, il nostro piacere e il nostro operare. Praticamente tutto.

Stagionalità dovrebbe voler dire – il condizionale ora è d’obbligo – risparmiare. Un risparmio non solo economico per chi acquista, ma anche per chi produce.

Immagino una fragola che “normalmente” nasce a maggio. Se voglio produrre fragole a dicembre per creare un mercato “speciale”, devo simulare un ambiente dove il frutto possa nascere, crescere e fare la miglior figura possibile sullo scaffale.

Ho bisogno che ci siano condizioni ambientali per favorire il processo anche fuori stagione.

Mi occorrerà creare una serra, condizionarla e, di conseguenza, inquinare. Dovrò ricreare una stagione artificiale per temperatura e umidità, dovrò replicare tecnologicamente un preciso momento “storico”. Dovrò avere luci accese per simulare una giornata più lunga, oscurarle per farne una più corta, usare colori, frequenze e ultravioletti per dare sensazioni favorevoli allo sviluppo della pianta.

Tanta roba, ma alla fine, il prodotto che otterrò non è assolutamente come il prodotto che si ottiene a maggio,
secondo natura.

È il ritmo biologico a stabilire che a volte ci siano fragole buonissime e a volte no, perché le peculiarità che la natura offre, di volta in volta, dipendono dalla sua mutevolezza, dal non essere mai uguale a se stessa e da mille imprevisti: piogge, siccità, grandinate, ghiacci, parassiti e mille altre variabili.

Ho fatto un esempio incisivo di che cosa significhi mantenere una stagionalità sul prodotto. Cosa difficilissima da seguire e quasi sempre fuori mercato. Laddove si può ancora rispettare e praticare è importante e fa veramente la differenza.

Ma tocchiamo anche la stagionalità nella ristorazione. Andiamo nella maggior parte dei locali e, in tutti i mesi dell’anno, troviamo asparagi… fa un po’ specie… anzi fa pena… Io penso che la responsabilità sia comunque dei cuochi che non hanno almeno il concetto di stagionalità chiaro in testa. D’altra parte è vero che siamo un po’ tutti costretti a farlo, perché se immaginiamo i fondi di cucina in cui uno prende sedano, carota e cipolla, abbiamo la cipolla che è un prodotto che si può conservare nel tempo, la carota un po’ meno ma la si trova disponibile comunque tutto l’anno e il sedano è in serra.

È ovvio che bisogna trovare un equilibrio, non estremizzare mai, non dire che in passato era tutto meglio e oggi fa tutto schifo. Su questi punti io dico che bisogna dare un colpo al cerchio e uno alla botte. In cucina ci sono certamente princìpi negoziabili.

Avere però presente la natura delle cose e una preparazione culturale zootecnica e agroalimentare che ci faccia almeno risparmiare contorni a base di porro nei mesi di luglio e agosto sulle spiagge… il porro in quei mesi è un bastone, eppure vedo porri gratinati, brasati, stufati a non finire, solo perché è “fashion” metterli sul piatto.

Anche se non la si può praticare per ovvi motivi di reperibilità e di commercio, è necessario conoscere la stagionalità: un cuoco deve avere cognizione di tempi, di flora e di fauna e questo è il vero succo del discorso. Cultura, equilibrio, conoscenza di quando una cosa si può usare e quando è meglio ricorrere ad una sana “censura”. Io penso che una buona tecnica si costruisca più sui limiti che sui miracoli.

Se immagino il futuro vedo una grande popolazione mondiale in aumento esponenziale e quindi già da oggi la priorità è avere un piatto di cibo da mangiare, quindi, nei grandi numeri, la qualità è piuttosto marginale.
Ci sono però dei luoghi in cui certe regole andrebbero messe in pratica, lo dico da padre di famiglia e da ristoratore: esistono le possibilità per intercettare prodotti di qualità e di stagionalità, ma bisogna essere esigenti, convinti, appassionati e avere molta voglia di impegnarsi.

Nei nostri locali (Costa Azzurra, Stati Uniti) investiamo molto tempo, risorse economiche e risorse umane per garantire altissima qualità nella selezione di centinaia di prodotti tipici.

Avere però presente la natura delle cose e una preparazione culturale zootecnica e agroalimentare che ci faccia almeno risparmiare contorni a base di porro nei mesi di luglio e agosto sulle spiagge… il porro in quei mesi è un bastone, eppure vedo porri gratinati, brasati, stufati a non finire, solo perché è “fashion” metterli sul piatto.